Recensione Blade Runner: 2049 - La mimesi dell'essere umano


Blade Runner: 2049 è un film del 2017 diretto da Denis Villeneuve (Arrival, Sicario), interpretato da Ryan Gosling e Harrison Ford. A colorire questo duo già di grande spessore ci sono Robin Wright (House of Cards - Gli Intrighi del Potere), Dave Bautista (Guardiani della Galassia), Sylvia Hoeks, Ana de Armas e Jared Leto.
La storia si svolge nello stesso identico mondo del primo Blade Runner diretto da Ridley Scott, ma con un salto temporale di qualche decade. Nonostante gli eventi del film precedente, i replicanti esistono ancora. Si tratta di modelli migliorati, più obbedienti, ma in realtà sempre più simili all'uomo. I vecchi modelli sono distrutti o appunto "ritirati". L'agente K, interpretato da Ryan Gosling, è uno di questi nuovi modelli, un Blade Runner che dà la caccia ai vecchi replicanti. Durante una delle sue missioni, però, scopre qualcosa che non solo sconvolge la sua personale esistenza, ma può distruggere completamente quegli ormai sottilissimi confini tra l'essere umano e i replicanti.
Il film si sviluppa dunque lungo questa linea narrativa, portando un grande rispetto nei confronti del primo lungometraggio ed allo stesso tempo approfondendone delle tematiche cardine. La storia di fatto riflette costantemente sulle differenze, e ancor di più sulle enormi somiglianze, tra quelle che si possono quasi definire due "specie" diverse che eppure sono estremamente simili. I replicanti di questo secondo film infatti risultano ancor più umani rispetto a quelli del primo. Si vede chiaramente in certe scene, in particolar modo in alcune di quelle dedicate al protagonista, come essi possano provare fortissime emozioni come l'amore. L'agente K si relaziona in maniera profondissima con un'intelligenza artificiale, che riesce a manifestarsi in ologramma ed a cui manca però una effettiva forma fisica - da qui si riprende un pò la tematica trattata in Her di Spike Jonze, dove il protagonista interpretato da Joaquin Pheanix si relaziona con una A.I. che prova e sente tutta la gamma di emozioni di un essere umano, ma a cui manca poi una concreta e tangibile forma fisica. In Blade Runner: 2049 nel rapporto tra questi due personaggi accade, appunto, una cosa molto simile. Emerge dunque un enorme interesse per il tipo di emozioni che questi "individui" creati dall'uomo sono in grado di provare nella loro paradossale condizione di non esseri umani.
Ciò diventa inevitabilmente il pilastro portante di tutta la storia.  Vi è l'interesse di  mostrare come in una realtà costruita in questa maniera diventi sempre più sottile il confine tra umano ed non-umano. Non si riesce quasi più a comprende chi appartenga all'uno e chi all'altro. E' una società dove la necessità di riproduzioni che abbiano un massimo di indice di realismo è fondamentale; tutto ruota intorno ad esso. I replicanti sembrano ad un certo punto più umani dell'umano, più reali del reale, e benchè la loro esistenza si svolga in una società che li assoggetta, vengono paradossalmente e idealmente considerati il passo evolutivo del genere umano. Il personaggio interpretato da Jared Leto, il Dott. Wallace, rappresenta un pò questa presa di coscienza, ovvero intravede che l'essere umano, creatura nata e cresciuta, pur rimanendo in cima a quella che si può definire la catena di comando, può avere un sostituto. 
Cosa molto interessante è il rispetto che gli autori hanno avuto nel decidere di non sciogliere tutte le matasse e problematiche che erano sorte dal primo film e che l'avevano reso così bello. Di fatto grazie a questa decisione molte cose restano nebulose (anche ciò che può accadere in una possibile continuazione); e questo voler lasciare molti fatti nel mistero preserva il fascino del mondo di Blade Runner: 2049, senza trasformarlo in un banale sequel.
Insomma il film fa una grande panoramica di un futuro dove l'evoluzione del genere umano è legata indossulibilmente al suo declino. Un futuro di immagini e riproduzioni, dove quel confine ancora abbastanza grande tra il mondo reale e il mondo virtuale, o comunque un mondo replicato in qualsiasi sua forma, non esiste più. L'ordine e una suddivisione chiara delle realtà possibili sprofondano nel caos, inevitabile e imprevedibile.
E tutto ciò viene narrato con una grandissima maestria, dalle riprese alla colonna sonora, passando per le splendide ambientazioni, che, da un lato seguono i toni noir (grattacieli, pioggia, costumi) calati in un mondo futuristico come accade nel primo film, e dall'altro si alternano con impatti cromatici estremamente diversi e in parte nuovi, passando in maniera eccellente a grandi scenografie fatte di colori freddi ed ad altre fatte di colori caldi. Il tutto con una ricostruzione, in parte cocretamente costruita, in parte riportata digitalmente, che è in ogni caso un piacere per gli occhi.
Non meno importanti le performace degli attori e le singole sottostorie dei personaggi che interpretano, rendendo il tutto decisamente più emozionante. Particolarmente toccante la vicenda dell'agente K, le cui caratteristiche più di ogni altro personaggio influenziano tutta la storia; per non parlare dell'attesissimo ritorno di Harrison Ford nei panni dell'agente Deckard, ruolo che non solo ha segnato la sua carriera, ma che ha anche modificato l'immaginario cinematografico collettivo.  

In definitiva un film splendidamente realizzato, che riflette in maniera profondissima sulle grandi tematiche della vita attraverso un genere che non sempre medita così tanto su determinati argomenti, o che comunque spesso si trasforma e devìa in un prodotto di portata più commerciale.
Per concludere Villeneuve eredita un titolo difficile che però rispetta, espandendone magistralmente l'universo narrativo,  senza scalfire i meravigliosi argomenti in esso trattati.

Recensione di 
Francesco Crispi 

Commenti

Post popolari in questo blog

Tredici. Cronaca di un suicidio.

Un film sulla guerra e nella guerra - Recensione Dunkirk