L'ultimo Wolverine nell'era dell'estinzione

Insolito, commovente, violento. Queste le tre caratteristiche di un film, che vuole fare due cose: distaccarsi da una saga fin troppo prolungata e essere l'ultimo in cui Hugh Jackman veste i panni di Logan. 
Mossa originale e dopo tanto tempo, appunto, insolita, da parte dei produttori quella di catapultare in mondo completamente diverso da quello a cui sono stati abituati gli spettatori. Una realtà in cui i mutanti rimasti cercano di sopravvivere, vivendo nell'ombra e nella paura. Se nei precedenti film si era sviluppato un atteggiamento di tolleranza per il diverso, qui c'è odio e sospetto nei confronti di chi non rientra all'interno di una determinata categoria. In qualche modo, inaspettatamente e forse senza volerlo, il film diventa una critica alla politica di Trump nei confronti degli immigrati. 
Questo è il nuovo mondo in cui cerca di andare aventi un Logan debole e ammalato, le cui ferite faticano a rimarginarsi, la cui mente è afflitta da un qualche rimpianto che allo spettatore non è dato sapere. Un X-man sopravvissuto in una realtà dove gli X-men sono solo un ricordo sbiadito e commercializzato che rende sottile il confine tra realtà e finzione.
Accopagnato da un Professor X (Patrick Stewart) affetto da una malattia celebrale, che rende il suo potere di telepata istabile, e da una bambina (Dafne Keen), di nome Lora, con lo stesso potere di guarigione e le stesse lame di adamantio, il protagonista intraprenderà un viaggio on the road. 
Fin dall'inzio, soprattutto se si vanno a considerare a ritroso i film precedenti, colpisce l'elevato grado di violenza che, nel dettaglio, viene mostrata senza scrupoli fin dalla prima scena. Ma, non c'è da stupirsi. Logan è solo uno degli ultimi film che si concede la sfacciataggine di essere così palese e schietto. In qualche modo, però, le immagini dove lo spettatore vede braccia e gambe mozzate, servono a dare dinamicità a un film che altrimenti, forse per via delle troppe scene girate in auto, sarebbe troppo lento. Certo, il viaggio on the road serve come pretesto per andare alla ricerca di una bomtà umana, individuabile solo però nelle piccole cose, e che, appena posta di fronte la verità, si tramuta in odio. 
Benchè vi sia un alta dose di violenza, non mancano i momenti di riflessione, quelle frasi dette qua e la, che qualche modo assumono una valenza politica e sociale. 
A dare poi un alto grado di commozione è la presenza della bambina, fattore, inoltre, scatenante di tutta la narrazione. Sebbene resti silenziosa per più della metà del film, è il motivo che porta all'evoluzione finale del protagonista. 

Da un punto di vista formale, a differnza di altri film non c'è una mole gigantesta di effetti speciali, e in particolar modo gli autori si sono risparmiati dall'usare massicciamente la computer grafica. 
Certe riprese sono state realzzate in maniera eccellente, in modo da dare, grazie al connubio che si crea con performance degli attori, quel giusto grado di emozione. 

In definitiva l'indipendenza di questo film (escludendo le dovute citazioni) rispetto agli altri funziona egregiamente, e si crea un percoso che vuole mostrare il significato di sacrificio. 
Forse si presenta un mondo poco spiegato, che lascia nell'ignoto lo spettare, ma in qualche modo lascia più sosfittatti, rispetto a una ambientazione narrativa spiegata nei minimi dettagli che può lasciare decisamente delusi. 

Recensione di 
Francesco Crispi

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