The Visit. Al confine tra horror, thriller e metacinema.

The Visit è un film del 2015 scritto e diretto da M. Night Shyamalan sottoforma di falso documentario

Due fratelli, Rebecca e Tyler, dopo che la madre ha preso contatto coi genitori (con i quali non parlava da quindici anni), vanno a far visita ai nonni, mai visti prima. Rebecca, che da grande vuole fare la regista, con l'aiuto del fratello, decide di realizzare un documentario  sui di loro. Ma in quella casa accadono cose strane e non tutto è come sembra. 

Dalla prima all'ultima scena del film è un seguirsi di riprese di due camere a mano, imbracciate rispettivamente da Rebecca e Tyler. La storia si alterna con delle interviste a vari personaggi, ed inizia proprio con quella rivolta alla madre, Loretta, la quale è quel personaggio che imbastisce la trama della storia: la visita dei figli ai nonni. 
La protagonista femminile Rebecca rappresenta la motivazione che sta alla base della realizzazione del film. Ambiziosa e con il sogno di diventare una registra, è la principale voce narrante e "giornalista" durante le riprese; fornita di un ottima attrezzatura cinematografica e fotografica, diventa emblema di un discorso di metacinema che ha come oggetto di interesse proprio il film che vuole realizzare e che lo spettatore vede in tempo reale. In una scena del film, per esempio, si vede lei seduta davanti al computer in una fase di post-produzione che è quella del montaggio, una fase che lo spettatore di solito non vede. Citando ciò che oggi è una forma autoreferenziale del cinema quello di Rebecca rappresenta il film amatoriale (in questo caso a sfumature documentaristiche date dalle interviste), che però è dotato di una certa professionalità. In molte scene la telecamera è piazzata sapientemente in un punto fermo simulando un'inquadratura cinematografica. Ovviamente questa non assumerà mai le forme di quella di un vero set, poichè il film è strutturato in una narrazione in prima persona il cui occhio che si vuole simulare è un occhio semi-professionale.
In certi casi è interessante notare il doppio livello di recitazione all'interno di alcune di queste inquadrature. I due attori principali recitano i ruoli di Rebecca e Tyler, e allo stesso tempo Rebecca e Tyler recitano il ruolo dei nipoti entusiasti che, ripresi da una telecamera alle loro spalle poggiata su un muretto, corrono verso i nonni mai conosciuti.
Attraverso quest'unica tecnica di ripresa la narrazione si arricchisce di colpi di scena e soprattutto si crea una notevole tensione in quanto la visione dello spettatore è limitata a quella di chi sta riprendendo. Quindi si sa tanto quanto i protagonisti ed insieme a loro, con le stesse informazione si può supporre l'evolvere della vicenda. Ancora questa tecnica fa in modo che nello spettatore si alternino momenti di paura e angoscia, resi ancor più forti a ragion del fatto che i punti di vista nei quali si immergene sono quelli di due ragazzini.
Le stranezze della vicenda, con appurati momenti di suspence e successivo spavento, vengono progressivamente registrate in un crescendo che porta al colpo di scena finale, davvero inaspettato.
Il film si fa contenitore di tutte quelle esperienze interattive che oggi costellano la nostra esistenza, e che nelle circostanze in cui si svolge la vicenda diventano fondamentali per un risoluzione positiva, e chiave di volta per i colpi di scena tra un atto e l'altro.
Inoltre, si ha una buona identificazione dei personaggi, i quali fin da subito cominciano a essere caratterizzati in una fornitura costante delle loro sfumature e motivazioni. In particolare quelle dei protagonisti, i quali segnati dall'abbandono del padre, hanno un loro particolare modo di interaggire, sempre accompagnati dalla ripresa amatoriale.

Se questa tecnica non fosse stata utilizzata, probabilmente non si avrebbe la stessa storia, o quanto meno non risulterebbe efficace come in questo caso. Se da un lato lo spettatore rimane sospeso tra una scena e l'altra, dall'altro lato, con le interviste o in quei casi in cui la telecamera è piazzata dai protagonisti allo scopo di indagare su delle stranezze, lo spettatore vuole indagare e cogliere o i dettagli tra le parole o i dettagli della scena ripresa. A un certo punto del film quindi si arriva ad una disparità di consapevolezza e fornitura di dettagli sulla storia: lo spettatore è un pò più avanti rispetto ai protagonisti. Ma ciò non toglie nulla alla tensione e al climax ascendete che si costruisce con la narrazione.

M. Night Shyamalan realizza un film che è ottimo esempio di un horror ben riuscito e che sorprende in un epoca in cui questo genere risulta spesso banale. Anzi, più che altro siamo di fronte a  un thriller dalle sottili sfumature horror, una commistione che ai fini dell'intrattenimento diventa assolutamente efficace, perchè riesce a portare lo spettatore in un stato d'ansia tipico dell'horror e nel medesimo tempo lo spinge ad indagare e a sciogliere la matassa così come accade con i thriller.

Infine, il film diventa riflesso della nostra società, basata sulle immagini e sulla personale rappresentazione della realtà. Mostrando i meccanismi di realizzazione di un video e l'autoreferenzionalità dei media, discute sulla poetica di una parte della produzione visiva odierna, sicuramente in gran parte popolare e di massa.
La tecnica cinematografica usata da M. Night Shyamalan, che in generale non è mai troppo artificioso, evidenzia l'accesso a questi mezzi e attraverso i protagonisti (lasciando da parte l'eccezionalità del loro caso), simboli dell'individuo qualunque, mostra l'incredibile originalità che può nascere da un occhio  amatoriale.     

Recensione di 
Francesco Crispi
                                                                                                                                                               

 

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